Fiaba, mito e filosofia (prima parte)


Prima parte dell'articolo Filosofia e mondo incantato. Far filosofare i bambini, gentilmente concesso dall'autrice Rita Gherghi

Da quando siamo piccoli si sente parlare di fiabe e favole; e chi è quel bambino che prima di addormentarsi non chiede o alla mamma o al papà di leggergli una fiaba? Il piccolo prova un grande piacere ad immergersi in quel mondo fantastico popolato non solo da creature umane, ma anche da animali, orchi, fate e folletti. Lui sa che ama sentire (o vedere su TV e dvd) quelle storie e tutto questo, come si capirà più avanti, ha un preciso perché; il bimbo però non conosce per nulla la differenza che passa tra una fiaba e una favola, lui sa solo che ama immergersi in quel mondo.
Accenniamo, allora, brevemente alle differenze intercorrenti tra questi due generi che, comunque, spesso sono confusi tra loro: la maggiore differenza consiste nel fatto che la fiaba è nata soprattutto per intrattenere, mentre la favola è nata proprio per educare. Infatti la favola nasconde sempre una morale che può essere più o meno esplicita, vedi, ad esempio, le favole di Esopo. I suoi protagonisti sono in genere animali che hanno, però, caratteristiche e sentimenti umani. Il racconto si svolge in luoghi in genere imprecisati. Anche la fiaba è ambientata in tempi e luoghi indefiniti (comincia, infatti, con “c’era una volta” …”), i suoi personaggi (generalmente umani) sono descritti in modo approssimativo e i loro ruoli sono fissi. Le fiabe raccontano il quotidiano e parlano di rapporti padre - figli, di povertà e ricchezza, di morte e di matrimoni; alla fine anche le fiabe non mancano di un senso e di una morale e chi legge spesso vi ritrova se stesso e la propria vita fatta di conflitti, di gioie e dolori, ci ritrova le difficoltà con cui deve combattere, i sacrifici da affrontare, in generale i problemi della vita.
Rubens, Orfeo all'Inferno
Poi c’è il mito. I miti sono narrazioni i cui contenuti sono ritenuti veri dalle società che li raccontano. Nel mito, i cui eventi il più delle volte risalgono ad un tempo primordiale, compaiono gli dei che quasi sempre si mischiano agli umani. Con i miti (da “mytos” greco)l’uomo ha cercato fin dai primordi di dare una spiegazione all’origine del mondo e degli esseri che lo abitano. Il mito ha un valore sacro, costituisce un momento importante dell’esperienza religiosa volta, appunto, a dare una spiegazione a fenomeni naturali e agli interrogativi sull’esistenza e sul cosmo. Non esiste cultura alcuna, da quelle antiche a quelle contemporanee, da quelle arcaiche a quelle civilizzate, che non abbiano al loro attivo dei miti. Molti di essi sono simili, addirittura si assomigliano in modo spiccato, pur appartenendo a popoli vissuti in epoche e luoghi diversi e, quindi, lontani tra loro nel tempo e nello spazio.
Come è possibile tutto ciò?
La spiegazione più accettata è che certe intuizioni ed esperienze siano tanto comuni fra gli uomini che essi, pur non avendo rapporti tra loro, le esprimono servendosi delle stesse immagini.
Dunque, il mito nasce da quel profondo bisogno dell’uomo di dare una risposta ai propri “perché”, “perché” cosmologici, morali, alle proprie paure ed attese, dal cercare di comprendere e comprendersi.
Ma queste esigenze profonde si ritrovano anche nel mondo fantastico della favola e della fiaba e proprio tali esigenze spiegano anche l’accesa quanto inconscia attenzione (appunto per questo meravigliosa) con la quale il bambino ascolta o guarda il mondo incantato delle favole e delle fiabe.
Bruno Bettlheim (1903 - 1990) nel suo libro intitolato non a caso “Il mondo incantato” ci offre il significato psicologico del racconto fantastico e ci spiega anche il grande aiuto pedagogico che tale tipo di narrazione offre al bambino in crescita. Il bambino è un filosofo in miniatura; egli, come i grandi pensatori del presente e del passato, cerca di dare delle risposte ai primi ed eterni interrogativi propri dell’uomo. Le domande sono segno di curiosità e il bambino è per sua natura curioso, ha mille “perché” che assalgono la sua mente: “perché la luna ha le macchie?”; “perché stasera non c’è?”; “da chi sono nato io?”, e quest’ultima è una domanda che risponde al principio di causalità che è già nella sua mente e che lui esprime in forma estremamente semplice, ma essenziale e il principio di causalità è parte della logica filosofica. E ancora:“e chi ha creato i genitori?”.

Poi ci sono gli interrogativi sulla morte: “mamma, dove è andata la nonna?”. Con le fiabe e le favole si trova l’imput per rispondere a queste domande, perché tali narrazioni evocano circostanze che consentono al ragazzino di poter affrontare e anche elaborare le effettive difficoltà e interrogativi cui la vita lo pone di fronte.
Il bimbo ha una logica animistica, ovvero tende ad attribuire alle cose, ai luoghi e a tutti gli esseri una vita simile alla propria e, dunque, il racconto fantastico si adatta benissimo a smuovere i suoi “perché” e a darsi delle risposte. Ad esempio, per aiutare un bambino nell’elaborazione del lutto esiste oggi una letteratura apposita, racconti a sua misura che il piccolo deve leggere assieme all’adulto, racconti che prima l’adulto deve leggere da solo e capire nel loro senso profondo che va ben oltre il narrato. Si tratta, infatti, di storie adatta a bimbi e ragazzini, che hanno però un senso e finalità precise. Hanno il sapore di favole e per protagonisti uomini e animali e affrontano il tema sconcertante della morte.
Spiegare la morte ad un bambino è uno dei compiti più difficili che ad un adulto può capitare di affrontare. La morte distrugge di fatto il mondo ovattato del piccolo, né lui la sospetta fino a quando non ci si trova di fronte. Ma ecco che questa letteratura può aiutarlo ad elaborare quei vissuti che, se non affrontati nel modo giusto, possono sconvolgere il suo essere e la sua crescita.
Le fiabe e le favole, come la filosofia, anche se non in modo razionale, pongono il bambino di fronte ai principali problemi umani: il bisogno d’amore, l’angoscia da separazione e di morte, i conflitti edipici, le gelosie ecc. Esse in modo simbolico palesano conflitti interiori e ne facilitano poi le eventuali risposte.
La partecipazione emotiva del bambino alla narrazione è possibile perché tale tipo di racconti si fonda sulla fantasia che è propria del bambino. Abbiamo detto, infatti, che l’uomo nasce filosofo ma non subito è in grado di  filosofare, ovvero di fare uso di un pensiero logico - astratto. Ecco allora la necessità di ricorrere alle favole, come nelle epoche arcaiche l’uomo - fanciullo è ricorso ai miti. Prendiamo, ad esempio, il mito, bellissimo, di “Orfeo ed Euridice”.
Orfeo, come racconta Ovidio nelle “Metamorfosi”, era poeta e musico di eccezionale talento. Tutta la natura si incantava ascoltandolo. Euridice era la sua giovanissima sposa; un giorno, mentre correva lungo un prato per sfuggire ad un tentativo di violenza da parte di un rozzo pastore ( il cui nome era Aristeo), fu punta da un serpente velenoso. Per lei non ci fu nulla da fare; fu rapita dall’Averno (il regno dei morti), lasciando Orfeo nella disperazione. Conscio che di fronte al suo canto nessun essere resisteva, Orfeo decise di recarsi nell’Ade (altro nome per indicare il regno dei morti) e di chiedere ad Ade in persona (il signore di tale regno) e a sua moglie Persefone che Euridice tornasse a vivere; Ade non si sarebbe rifiutato, e così fu. Il signore dell’Averno acconsentì, a condizione però che Orfeo, precedendo Euridice lungo i bui corridoi del ritorno alla luce, non si voltasse mai indietro per guardarla. Orfeo accettò, sicuro dell’impresa da lui ritenuta facile. Ma quando fu non lontano dall’uscita del corridoio che doveva riportarli alla vita, un po’ per il forte desiderio un po’ perché non la sentiva (dal momento che i morti non fanno rumore) si voltò, perdendo così per sempre la sua Euridice.
Il mito, con immagini avvincenti ed emozionanti, intende comunicarci l’ineluttabilità della morte. Orfeo, infatti, dovette continuare da solo il viaggio di ritorno, senza essere riuscito a strappare all’Averno la sua Euridice. Così l’uomo alle origini spiegava l’ineluttabilità della morte. (CONTINUA)

Commenti

  1. La differenza tra fiaba, favola e mito è spesso trascurata e invece è molto importante distinguere. In questo post il tutto è stato spiegato davvero bene e in modo chiaro. Molto interessante anche il discorso su come far affrontare il tema della morte ai bambini. Corro subito a leggere la seconda parte!

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