Le fiabe dei Grimm: variabili e peculiarità, di Cosimo Rodia

Parzialmente tratto da: Le fiabe Grimmiane tra pedagogismo, ricerca demologica, letterarietà di Cosimo Rodia

Sulla crudeltà di alcune fiabe
E veniamo alla riflettuta questione se la lettura di fiabe crudeli e ansiogene, come quelle dei Grimm, sia giusta o contenga controindicazioni. Negli ultimi anni il confronto di visioni differenti hanno tenuto alto il dibattito. Una corrente di pensiero di aperta opposizione ha sostenuto che racconti violenti, dalle ambientazioni lugubri, ricchi di scene di sangue non sono adeguati ad un pubblico infantile, perché accrescono le angosce e le paure, tanto da promuovere ansietà più che rasserenamento intellettuale. Non solo, la fiaba spingerebbe il bambino a credere in un mondo fantastico, quando invece ha bisogno del mondo reale. A questa linea di pensiero, se ne oppone una seconda, che poggia in particolare sul libro di Bruno Bettelheim: Il mondo incantato, pubblicato nel 1976 a New York e l’anno successivo in Italia. Qual è il risultato di questo studio, già richiamato per altri aspetti?
Che le fiabe vanno lette, perché hanno una logica interna simile a quella della mente del bambino, nel senso che entrambi non hanno sfumature: si è felici o infelici; qualcosa può essere bellissima o bruttissima …; e la lettura serve a far crescere emotivamente e psicologicamente il bambino anche quando è posto di fronte a fatti ansiosi e di paura. Di qui la necessità di conservare gli episodi più crudeli. Una posizione che riabilitano fortemente le fiabe grimmiane, in quanto si ribadisce che non solo non ingenerano paura nei giovani lettori, ma li allenano a padroneggiare le situazioni interiori, a raggiungere stati superiori di organizzazione della personalità. Sul tema delle paure si è interessato pure Daniele Giancane, dalle cui riflessioni emerge che tutto ciò che provoca paura non bisogna metterlo all’indice, perché “Madre paura è dentro di noi, a diversi livelli di profondità e di pressione emotiva: saperlo vuol dire già avvicinarci e conoscerla, a dialogare…”. La paura è come la febbre, continua Giancane, che fa diventare grandi; dunque, la paura si può controllarla ma non estirparla, perché appartiene a quel bambino segreto che ci ricorda come non siamo autonomi.
Pollicino, di Gustave Dorè
Tutta la letteratura per l’infanzia è piena di passaggi paurosi, perché la paura è un sentimento antichissimo, proprio dell’uomo (paura per la morte, etc …), dunque reprimerlo significa preparare il terreno alla nevrosi. A questo punto, conclude Giancane, la paura stimola la vita e dona coraggio; ben vengano, dunque, le esperienze ansiogene che fronteggiano Cappuccetto Rosso, i TrePorcellini, Biancaneve

Le fiabe dei Grimm: variabili e peculiarità
Una volta acquisito che le fiabe dei fratelli tedeschi sono forti e truculente, per il cui motivo spesse volte sono state manomesse, edulcorate, rese zuccherose, per alcuni aspetti insipide, sarebbe bene, per conoscerle più a fondo, rilevare: le costanti e le variabili; eventuali analogie dei rispettivi intrecci tra i Grimm e altri autori; scoprire i legami storici che le fiabe popolari hanno con la propria terra. Su quest’ultimo aspetto gli studi del citato Propp, ma anche di Frazer, del nostro Cocchiara, hanno collegato i temi dominanti della fiaba popolare agli antichi rituali sacri, che si svolgevano presso i popoli primitivi. Questi studi hanno rilevato l’analogia tra le fiabe di magia e i riti d’iniziazione, attraverso cui si sanciva il passaggio dalla fanciullezza all’età adulta.
In questi termini si spiega la presenza costante del bosco, (attraversato da Cappuccetto Rosso, in cui vengono abbandonati Hansel e Gretel …); una presenza puntuale in tutte le fiabe, quale luogo d’incontro, di prove da superare, di attraversamento da cui ripartire o da cui ritornare rinvigoriti, purgati, arricchiti; certamente ‘nuovi’ (perché diversi grazie ad un passaggio fisico e mentale).
Il bosco, dunque, quale luogo isolato, vi succede di tutto, si trova pure l’amore: pensiamo a Raperonzola, confinata dalla maga in una torre nel bosco, senza porte né finestre, “solo, proprio in cima, c’era una finestrella”. Il suo canto così soave attira il figlio del re, innamorandosene; dopo varie peripezie, anche dolorose, con l’immancabile lieto fine, arriva il suggello al sentimento positivo.
Nel bosco, dicevo, avvengono gli incontri; e qui svariati sono i personaggi e fatti fantastici riscontrabili: maghi, gnomi, fate, metamorfosi di fantasmi, di rimpicciolimento, di nullificazione, di morti che resuscitano, di animali e oggetti umanizzati e tante altre trovate che permettono al protagonista di superare le prove. E’ il caso della fiaba I dodici fratelli, scappati per evitare d’essere uccisi dal padre; subiscono un incantesimo e trasformati in dodici corvi, infine sono liberati dalla sorella.
(…) Pur essendo copiosi gli esempi di trasformazioni e di animali che parlano e di altre metamorfosi, mi sembra, che nei Grimm non ci sia mai un eccesso di magismo, perché il meraviglioso è funzionale all’obiettivo che si vuol far emergere, ai valori che si vogliono esaltare e ai vizi che si vogliono condannare.
Cappuccetto Rosso di Lisa Evans
Si condanna, infatti, la pigrizia anche se ne Le tre filatrici la mamma di una sfaticata si vergogna di dire al re quanto la figlia sia bighellona, di contro ne tesse le lodi di grande faticatrice. Adeguatamente aiutata la pigrona sposa il re; qui il messaggio sembra obiettivamente contraddittorio.
Si condanna la bugia e la curiosità fine a se stessa come ne: La figlia di Maria. Si condanna la cupidigia come ne Il pesciolino d’oro, in cui la moglie del pescatore passa ad abitare da un tugurio ad un castello; diventa re, imperatore, Papa, infine, quando chiede di diventare Dio, perde tutti i benefici e torna nel tugurio. Per non parlare dei divieti infranti per le lusinghe; paradigmatica è la fiaba di Cappuccetto Rosso, il cui lupo, secondo l’analisi psicoanalitica, è proprio il seduttore pericoloso.
Nella risoluzione dei problemi, oltre ai maghi, fate, streghe, ci sono, pure, Santi, Madonne salvatrici, finanche Nostro Signore, che non è quel Dio pantocratico che giudica severo dall’alto, come nell’iconografia bizantina, ma è quasi un primus inter pares, un uomo con più qualità.
O in I figli di Eva, uno diverso dall’altro, il Signore scende dal cielo, fa visita agli uomini, sancendo la divisione dei lavori. Non sembra che ci sia una visione di un Dio duro, distaccato, inflessibile, austero; c’è, invece, un Dio rasserenante, pronto a dare ad ognuno un’altra possibilità, tendendo la propria mano; il perdono in extremis in La figlia di Maria  è emblematico, come a dire che alle anime buone, la sofferenza e la purezza d’animo, diventano condizioni per il riscatto, secondo il principio cristiano che chi soffre guadagna il regno dei cieli, come nel caso de La fanciulla senza mani, in cui il padre, per volere del diavolo, taglia le braccia alla figlia; ella comunque diventa regina, ma per i tranelli preparati dal diavolo viene scacciata dal castello e condannata a morte. Allora interviene un Angelo che per volere di Dio non solo le fa ricrescere le mani ma fa ravvedere anche il re che rammaricato si riprende la bella moglie buona e innocente.
Dio stende sempre una mano benigna e provvidenziale; ad ogni modo chi fa un’esperienza mistica di preghiera profonda e di vicinanza all’assoluto, imbocca una strada di non ritorno; ne Il garofano una donna è accusata dal marito di essersi fatta rubare il bambino dalle fiere, dunque è rinchiusa in una torre senza acqua e cibo; ma non muore perché intercede Dio a darle sostentamento. Quando è liberata, perché riconosciuta innocente, la donna ritorna dal marito, ma diventata pia nel lungo periodo di preghiera, muore dopo tre giorni; come a dire: chi conosce Dio, si concede e vi rimane fedele.
Il Diavolo, poi, è l’altra faccia della medaglia; ricorrente come personaggio nei racconti popolari (vedere anche nelle fiabe pugliesi), è presentato con caratteri umani senza nessuna dimensione orrifica; a volte non impersona neanche il male, anzi sembra quasi un giudice giusto come nella fiaba: Il fuligginoso fratello del diavolo; un soldato in congedo ha fame; il diavolo gli offre di mettersi al suo servizio per sette anni, in compenso avrebbe mangiato a sazietà, a condizione che non si fosse lavato.
Trascorsi gli anni del patto, il soldato riceve uno zaino di sterco, che ben presto si trasforma in oro. Quando un oste lo deruba, interviene nuovamente il diavolo che permette al soldato di riavere il suo oro, anche raddoppiato e diventato tanto ricco, sposa la figlia del re.
Peculiare nelle fiabe popolari è la presenza della morte; entità astratta presentata con caratteri umani e con cui si interloquisce senza timori (probabilmente qui ci viene in aiuto Philip Aries, secondo cui la morte fino all’età moderna era accettata senza drammi); non solo ma è anche giusta.
Ne I messaggeri della morte la morte è presentata giusta e per niente capricciosa. E’ ancora più giusta e moderatamente tollerante nella Comare morte: un pover’uomo infatti cerca un compare giusto per il suo tredicesimo figlio e lo trova nella morte. Il figlioccio diventa medico e acquisisce con l’aiuto del padrino l’arte di guarire o di predire la morte, ma a seguito di inosservanze viene fatto morire come gli altri, senza favoritismi. Da ricordare, che lo stesso racconto è stato recuperato nella parte orientale di Taranto: ha la stessa struttura, lo stesso motivo, la stessa morale, cambiano solo i particolari. Ad esempio le candele che rappresentano la luce della vita degli uomini, nella versione tarantina sono lucerne a olio (prodotto tipico della terra salentina). Inoltre il luogo in cui la morte conduce il figlioccio è una caverna, tipica di zone montane; nella versione tarantina è uno stanzone.
Importante è la personificazione delle entità astratte con cui si dialoga; ad esempio: la morte, Nostro Signore; ma anche l’anima, i mondi ultraterreni, i vizi umani.
Nella fiaba Il Giocatutto  il Signore dona tre grazie ad un uomo che lo ospita. Questi ha il vizio del gioco, per cui chiede e riceve la grazia di vincere sempre con le carte e con i dadi e di non far scendere senza il suo consenso chiunque salisse su un albero di “frutta d’ogni tipo”. Giocatutto diventa ricchissimo tanto che il Cielo manda la morte per fermarlo; ma rimane intrappolata sull’albero, gabbata dal giocatore. Interviene ancora il Cielo, libera la morte che presto si vendica strangolando Giocatutto. Questi, rifiutato dall’inferno e dal Purgatorio, è accettato in Paradiso, ma anche qui crea scompiglio, dunque San Pietro e il Signore lo buttano giù tanto che “la sua anima si ruppe in tanti pezzi ed entrò negli altri giocatori che sono ancora vivi”.
Nelle fiabe dei Grimm non manca l’apertura di credito all’amore che ridona la vita, come nella celeberrima Biancaneve o in Raperonzola; o che dona alla vita una possibilità come nella fiaba I dodici cacciatori. Ma attenti a renderle strumenti di eticità, i Grimm attribuiscono i caratteri
dell’amorevolezza verso il prossimo ai protagonisti positivi e vincenti. Ad esempio in Rosabiancae Rosarossa, le fanciulle sempre cortesi e misurate aiutano a più riprese un nano molto ingrato; alla fine ricevono oro e un matrimonio regale. Lo stesso ne La casa del bosco, in cui la disponibilità e l’amorevolezza di una fanciulla verso un vecchio canuto e a tre suoi animali fedeli (per un incantesimo sono un principe e tre suoi servi) le fanno ottenere un matrimonio con il re. E’ facile parteggiare o immedesimarsi in queste fanciulle!
Questa fiaba ci dà anche la possibilità di dire che le trovate e gli intrecci spesso ritornano e si ripetono con alcune varianti. Ne La casa del bosco, ad esempio, si ripete la trovata del piccolo Hansel di buttare sassolini e molliche di pane per ritrovare la strada.
Oppure, troviamo un’altra variabile secondo cui i figli sono spesso tre e il più piccolo (o la più piccola) si mostra più capace e più fortunato principalmente perché più buono, sereno, positivo, con profondo attivismo nella risoluzione dei problemi. Un altro esempio è ne L’acqua della vita; anche qui troviamo tre figli di un re; i primi due falliscono nell’impresa di trovare l’acqua della vita per salvare il padre ammalato; e falliscono perché per strada si mostrano scontrosi, arroganti e superbi. Il terzo riesce nell’impresa perché si comporta umilmente, disponibile, caritatevole, giusto; viene premiato dai beneficati, ricevendo strumenti magici o le dritta, così da raggiungere lo scopo.
I Grimm riescono a creare un gigantesco sistema morale attraverso gli esempi dei protagonisti (quelli buoni e virtuosi sono sempre aiutati e raggiungono lo scopo; i cattivi si crogiolano nella propria cattiveria, perdono e sono esemplarmente puniti). Va detto comunque che per quanto ci sia una visione religiosa e provvidenziale, secondo cui una mano invisibile guida le azioni degli uomini, dispensa castighi e premi, c’è un’apertura di credito anche alla fortuna. Viene premiato chi è laborioso, come nella fiaba Il fuso, la spola e l’ago; ma il cambio di status generalmente avviene per cause accidentali, non previste né programmate, come ne La bara di vetro, in cui il sarto sposa una principessa, dopo averla liberata da un incantesimo.
In questa lettura si potrebbe inserire la presenza dello sciocco, un protagonista che torna spesso nelle fiabe aneddotiche poggiate su una trovata.
Ne L’uccello grifone lo sciocco sposa la figlia del re; come anche ne L’oca d’oro in cui lo sciocco sposa la figlia del re grazie alla sua leggerezza, generosità e caparbia. Nella fiabistica popolare, poi, non mancano le astuzie e i raggiri nella soluzione dei problemi. Ne Il piccolo Sarto l’astuzia è la qualità che fa acquisire un regno. Un altro aspetto, tale da risultare peculiare è il richiamo a una gamma amplissima di mestieri.
Ci sono anche Santi, e perfino Gesù e mai avvolti, come si diceva, da un’aureola, distanti dagli uomini e dalla realtà in cui appaiono. In più troviamo re, regine, principi e mai posti su un piedistallo; al contrario agiscono come persone della porta accanto.
C’è chi ha visto in questa caratteristica un aspetto democratico degli autori. Ma al di là degli aggettivi, mi sembra che tutti i personaggi rispondano a delle esigenze funzionali del racconto; ognuno è uno strumento per raggiungere un fine educativo preciso.
In veste simbolica mi sembra anche il miraggio dell’oro. La ricchezza agognata e raggiunta è più che altro una metafora e non bramosa avidità. Di tale metallo prezioso troviamo penne, uccelli, palle, mele, sacchi pieni …L’uccello d’oro, in cui appaiono mele d’oro, cavallo d’oro, castello
d’oro, l’uccello d’oro. In Frau Holle troviamo oltre ai pomi d’oro anche una pioggia d’oro, che cadendo si appiccica sulla fanciulla tanto da coprirla tutta. O infine, nella fiaba Tre ometti nel bosco i tre ometti per ripagare la bontà di una fanciulla le donano la possibilità di far cadere dalla bocca monete d’oro ogni volta che pronuncia una parola.
Rosabianca e Rosarossa, Illustrazione di Ruth Sanderson
L’oro richiamato spesso è più che altro il riferimento ad uno status in cui è possibile soddisfare i bisogni, che un sentimento di possesso e di dominio.
Un altro tema tipico della fiabistica popolare è la fame. Abbiamo già detto che i protagonisti appartengono alle fasce sociali basse. Non poteva mancare la presenza della fame, sia essa descritta direttamente che presente come sfondo; una variabile tipica delle società preindustriali, ad economia agricola, sostanzialmente statica e soggetta a periodici processi di carestia. 
E’ emblematico l’inizio di Hansel e Gretel: “Il taglialegna aveva poco da mettere sotto i denti e quando nel paese ci fu una grande carestia, non potè nemmeno più procurare il pane quotidiano. Una sera, mentre i pensieri lo assalivano e si rigirava nel letto dal dispiacere, disse sospirando alla moglie: <<Che ne sarà di noi? Come potremo nutrire i nostri figli se non ne abbiamo più nemmeno per noi?>>. <<Senti marito mio – rispose la moglie – domattina all’alba li condurremo nel bosco più fitto: accendiamo un fuoco e diamo a ciascuno di loro un pezzetto di pane […] e li lasciamo lì soli. Non troveranno più la strada di casa e noi ce ne saremo liberati“. La fame fa compiere delitti estremi, perfino abbandonare i figli, ma su questo tema ci torneremo.
Finanche ne L’oca d’oro le prove da superare imposte dal re sono di tipo mangereccio: bisogna svuotare le botti di vino dalla cantina del re e mangiare una montagna di pane e lo Sciocco protagonista trova sempre aiutanti sventurati per superare le prove.
Per non parlare, infine, ne Unocchietto, Duocchietti, Treocchietti, in cui lo strumento magico, nella fattispecie la capretta, è capace di apparecchiare un tavolo imbandito per sfamare una delle tre figlie discriminate dalla madre e dalle due sorelle.
Altro carattere tipico della fiabistica popolare è la primitività dei modi; modi ancora non modellati dalla società delle buone maniere, (ritoccati, invece, da Perrault per i lettori di corte nella Francia del XVII secolo). Atteggiamenti con spigoli vivi, soluzioni radicali ai problemi, manifestazione dei sentimenti senza mediazione, secondo lo schema dicotomico bene-male, amico-nemico.
Per quanto si sia rilevato prima esempi di amore per il prossimo, non mancano nei racconti i riferimenti alle faide familiari; troviamo, infatti, l’odiata matrigna, quella per antonomasia è presente in Cenerentola. La matrigna spesso ha una figlia legittima brutta e cattiva; e una figliastra con caratteri opposti, sintesi di ogni umana virtù. Tra le due è inevitabile la competizione; vedere Fratellino e Sorellina o Tre ometti nel bosco; o ancora I dodici fratelli e qui ci fermiamo perchè l’elenco sarebbe lungo, in quanto ci troviamo di fronte ad una costante.
A proposito di sentimenti forti rappresentati con crudezza, troviamo anche mamme naturali partigiane e snaturate; in Il corvo, una madre spazientita nell’accudire la sua piccola figlia esprime il desiderio che si trasformasse in corvo e volasse via; e il desiderio si avvera.
Nella fiaba Unocchietto, Duocchietti, Treocchietti  la madre parteggia per due figlie e discrimina Duocchietti, soggetta ad angherie e privazioni.
Ma quello che ha fatto discutere di più critici, pedagogisti e scrittori, è la crudezza di alcune immagini presenti nelle fiabe grimmiane: vendette crudeli e frontali, con una violenza poco mitigata. E’ il caso delle sorellastre di Cenerentola accecate dalle colombe, “come punizione delle loro cattiverie”. In Biancaneve la matrigna rivale muore calzando scarpe di ferro arroventate.
In La fanciulla senza mani  un padre per le minacce del diavolo mozza le mani alla figlia. Nella fiaba I dodici fratelli la matrigna viene condannata e “messa in una botte piena d’olio bollente e serpenti velenosi e morì d’una terribile morte”.
Ancora, in una botte foderata di chiodi e fatta rotolare dalla montagna è la fine di un’altra matrigna e figlia naturale nella fiaba Tre ometti nel bosco.
Infine, rilevo un altro aspetto, da alcuni considerato velatamente razzista: una sorta di discriminazione nei confronti di chi non ha la pelle bianca. Nella fiaba La sposa bianca e la sposa nera, una donna taglia il fieno nei campi con la figlia naturale e una figliastra. Il buon Dio, sotto mentite spoglie, chiede una informazione e riceve una risposta sgarbata dalla madre e dalla figlia naturale; la figliastra, invece, con garbo e dolcezza, indica la strada cercata. Il buon Dio per punizione fa diventare “nere come la notte e brutte come il peccato“ le prime; “bianca e bella come la luce del giorno“ la seconda. Nelle prime, brutte e nere, regna la cattiveria e la gelosia; nella seconda, bianca e bella, la gaiezza. Qualche critico ha letto in questi passaggi alcuni segni di discriminazione razziale; ma anche qui, mi sembra, che gli aggettivi “nere“ e “bianca“ vogliano richiamare metaforicamente il senso di candore e purezza dell’animo (sia nel suo modo di pensare che nel suo modo di agire) in antitesi alle anime ottenebrate, vili, basse e viziose.

Per approfondimenti sugli studi del Prof. Cosimo Rodia potete visitare la sua pagina Facebook e il sito Racconti Ragazzi - La penna dei giovani
La versione integrale del saggio è stata pubblicata in:
- "Pagine Giovani" (organo del Gruppo di Servizio per la Letteratura Giovanile), n. 3, 2007; 
- nel manuale di letteratura per L'infanzia: LA NARRAZIONE FORMATIVA - Dai classici ai nuovi indirizzi di scrittura, PensaMultimedia, Lecce 2010;
- e nel saggio: L'EVOLUZIONE DEL MERAVIGLIOSO - Dal mito alla fiaba moderna, Liguori, Napoli 2012.

Commenti

  1. In effetti non credo sia mai esistito al mondo un rituale iniziatico, da Eleusi ai pellirossa americani, che non preveda tra i suoi ingredienti la paura e il dolore.

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    1. La paura anche dell'incognito, del dubbio sulla propria salvezza; se poi si pensa alla giovane età degli iniziati e quindi la forte immaginazione, il tutto deve essere sembrato non così lontano dalla realtà.

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    2. Personalmente sono anche convinto che i percorsi dei tunnel della paura nei moderni luna park ne siano una vaga eco.

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    3. Ho letto che i tunnel sono considerati, simbolicamente, una sorte di ponte, uniscono due opposti; a me fanno pensare molto anche al labirinto. I luna park invece li evito proprio, figurati i tunnel da dove salta fuori il killer!!...e se non se ne esce? :(

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    4. Come eviti i luna park? Per me sono una delle più belle invenzioni dell'era moderna :)

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    5. Età moderna?! ma io sono antica...non vedi come sono nella foto? ;)

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    6. Non so se te lo hanno mai detto ma somigli a Tilda Swinton...

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    7. Beh... anche i Luna Park non sono proprio, "moderni"!!! Risalgono alle vecchie fiere di paese e circhi intineranti del 1800!!!

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    8. Ops! il senso storico non è il mio forte ;)

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  2. Non conoscevo questo studioso, ma dopo aver letto questo tuo post sono decisamente curiosa :) Penso proverò a leggere almeno uno dei suoi titoli che hai citato!

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    1. Sì ho avuto la fortuna di avere questo suo ottimo contributo; se ti può interessare, il suo ultimo libro (2014) è "Fiabe e Leggende di Terra d'Otranto", ne parlerò, prossimamente, nel blog, quindi ti aspetto:) A Taranto ha creato un centro per la diffusione della lettura.

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