Il rospo, di Andersen

Secondo i Greci e i Romani, i rospi erano capaci di influire sulle condizioni meteorologiche, Plinio stesso, nel I Secolo d.C., consigliava ai contadini di tenere nei loro campi vasi di coccio pieni di rospi per provocare la pioggia. In tempi successivi si credeva che, mescolando sangue di rospo e vino, si potesse ottenere un veleno mortale; in effetti, se stimolati, i rospi secernono un liquido velenoso che provoca febbre e, anche se raramente, la morte. Ciò dette una fama sinistra e magica a questo animale fino a sfociare nel Medioevo periodo in cui il rospo divenne il beniamino delle streghe, le quali ne usavano la saliva come ingrediente di una particolare miscela capace di rendere invisibile chi ne avesse fatto uso. Le zampe del rospo, invece utilizzate nei filtri d’amore, hanno spesso il fine di far innamorare perdutamente chi li berrà. Il rospo sembra quindi essere un animale che ha potere sulla vita o sulla morte: può avvelenare o dare la vita ed è in rapporto col principio dell’amore. 
Non so se è proprio dall’espressione “principio dell’amore” che è diventato il Principe delle fiabe trasformato in rospo o se è stato “adottato” dalle fiabe come Principe grazie alla sua capacità di metamorfosi insita nella sua stessa natura: da larva diventa girino fino, trasformando completamente il suo corpo, a diventare rospo, passando dalla vita nell’acqua a quella sulla terra e dentro la terra. La magia del rospo, si trova anche nella favola di Andersen, autore che trova sempre la via fiabesca per dare dignità ai più deboli ed emarginati, intitolata appunto Il rospo: Nella fiaba si riprende la credenza che nella testa del rospo esista una gemma preziosa: “È qualcosa di splendido e di prezioso!” disse mamma rospo. “Ma io non posso descrivetelo, è qualcosa che dà piacere a chi la possiede e fa rabbia agli altri, ma non chiedete, io non rispondo.” Due scienziati che vogliono mettere il rospo sotto spirito: “Non c'è forse qualcosa di meraviglioso in questa tradizione popolare, nell'idea che il rospo, l'animale più brutto in assoluto, spesso nasconda nella testa una preziosissima gemma? Non succede lo stesso anche con gli uomini? E che pietra preziosa aveva Esopo, e poi Socrate!” Il protagonista, un giovane ed inesperto rospo, aveva la voglia di emergere dal profondo pozzo in cui era nato ed da cui era riuscito a fuggire e desiderava andare sempre più in alto, il suo sogno era vedere l’Egitto. La conclusione di Andersen:
 “E invece aveva proprio quella gemma preziosa: quell'eterna nostalgia e quella voglia di andare in alto, sempre più in alto! gli brillava dentro, si esprimeva nella gioia, si irraggiava nel suo desiderio. In quel momento sopraggiunse la cicogna; aveva visto il rospo tra l'erba, si precipitò in basso e prese quel piccolo animaletto senza troppo garbo. Il becco stringeva, il vento soffiava, non era certo piacevole; ma intanto lui andava in alto, in alto verso l'Egitto, lo sapeva bene; e per questo gli brillavano gli occhi, e sembrò che ne uscisse una scintilla. Il corpo era morto, il rospo ucciso. Ma la scintilla che proveniva dai suoi occhi, di quella che accadde? Il raggio del sole la prese, il raggio del sole portò via la gemma preziosa dalla testa del rospo. Ma dove la portò? Non devi chiederlo allo scienziato, chiedilo piuttosto al poeta; lui te lo racconterà come una favola, e ci sarà il bruco, e la famiglia delle cicogne. Pensa! Il bruco si è trasformato ed è diventato una bella farfalla; la famiglia delle cicogne vola oltre le montagne e il mare fino alla lontana Africa e ciò nonostante trova la strada più breve per tornare di nuovo nella terra danese, nello stesso posto, sullo stesso tetto! Sì, è proprio tutto come una favola, eppure è vero! Puoi chiederlo allo scienziato lui lo dovrà ammettere; e tu stesso lo sai, perché l'hai visto. Ma la gemma preziosa nella testa del rospo? Cercala nel sole! Guardalo, se sei capace! Il bagliore è troppo forte. Noi non abbiamo ancora gli occhi in grado di guardare in tutta quella gloria creata da Dio, ma li avremo, e allora diventerà la favola più bella, perché anche noi ci saremo.” 
La gemma preziosa sembra il simbolo della genialità e del talento; è inevitabile non vedere in questa fiaba, come in molte altre dello stesso Andersen, dei riferimenti autobiografici; la sensibilità e l’inquietudine che ad essa si associa e che fa desiderare di essere sempre oltre (che sia lontano da un pozzo o dalla Danimarca); quella vita che nessun scienziato può raccontare, perché è la vita dell’anima e solo un poeta la potrebbe raccontare e comprendere.

Commenti

  1. A me invece sembra qualcosa di molto vicino al terzo occhio. E il processo descritto da Andersen quello dell'illuminazione, o folgorazione intuitiva, se anziché scomodare l'Oriente vogliamo rimanere in ambito misterico-occidentale.

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    1. Bellissima questa tua interpretazione!! In effetti quando io parlo di genialità intendo qualcosa di simile alla folgorazione intuitiva. Al terzo occhio non avevo proprio pensato...grazie :)

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    2. Bello il post che vedo in sintonia con l'interpretazione di Ivano! In antitesi, mentre stavo leggendo, mi è venuta in mente la pietra della follia medievale :P

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    3. E' vero, Ivano riesce sempre ad aggiungere qualcosa di prezioso ai miei post! Sulla pietra della follia (sia il quadro di Bosch che sulla follia nel Medioevo ho scritto un post sull'altro blog), in effetti anche il genio e il creativo erano ritenuti folli nel Medioevo (in alcuni casi anche oggi). Grazie!

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