"L'oca d'oro" e il sorriso della principessa


Illustrazione di 


Lo Sciocco abbatté l'albero e quando questo cadde, nelle radici trovò un'oca dalle piume tutte d'oro. Piume d’oro che avevano il potere di far rimanere attaccate le persone che le toccavano. Così tre ragazze rimasero attaccate all’oca. Il mattino dopo lo Sciocco prese in braccio l'oca e se ne andò senza curarsi delle tre ragazze che rimaste attaccate, costrette a corrergli dietro. Lungo i campi incontrò il parroco che, vedendo quella processione, disse: "Vergognatevi, ragazze scostumate, vi pare bello correr dietro a un giovanotto?!". Così detto, afferrò la mano della più giovane ma, non l'aveva nemmeno sfiorata, che rimase attaccato e dovette anche lui correr dietro a loro. Poco dopo arrivò il sacrestano e vide il parroco che stava seguendo tre ragazze. Così gli gridò: "Signor parroco, dove andate così in fretta? Ricordatevi che oggi abbiamo un altro battesimo". Lo rincorse, lo afferrò per una manica e rimase attaccato anche lui. Mentre tutti i cinque correvano in fila, dal campo arrivarono due contadini con le zappe e il parroco li pregò di liberarli. I contadini come sfiorarono il sagrestano, rimasero attaccati. Così erano in sette a correr dietro allo Sciocco con l'oca. Questa catena giunse nel regno di un re disperato perché la sua giovane figlia aveva perso la voglia di ridere, per questo offrì la mano della figlia a chi fosse riuscito a farla ridere. Lo Sciocco, saputo della Principessa, si recò al palazzo e fu così che, vedendo passare sotto le finestre del castello questa surreale compagnia, la Principessa scoppiò a ridere.
La domanda sul perché ridiamo se la pose, primo fra tutti Platone, osservando il pubblico che partecipava alle rappresentazioni delle commedie di Aristofane. Egli criticava negativamente il riso e il ridere in pubblico; il riso secondo il filosofo greco era esattamente l’opposto di quella armonia a cui l’uomo saggio deve aspirare, il riso invece che creare armonia provoca uno sconvolgimento nell’animo. Sarà Aristotele a sostenere l’innocuità del riso principalmente nel secondo libro scomparso della Poetica, secondo Aristotele il riso dà sollievo e piacere all’animo e il partecipare coralmente ad un evento comico può essere una forza di coesione tra gli uomini i soli, tra tutti gli esseri viventi, a saper ridere.
In questa fiaba, L'oca d'oro, è proprio lo sciocco (il non saggio) a creare le condizioni per suscitare le risa della fanciulla.

Personaggio ilare per il suo aspetto spesso disarmonioso è lo sciocco, a volte identificato con lo “scemo del villaggio”. Da sempre nel passato il nano il “ritardato mentale”, il deforme o il giullare, o lo “scemo del villaggio”, sono apparsi come oscillanti tra stoltezza e saggezza, come portatori di un deficit in alcune aree del carattere del corpo ma anche come portatori, in altre aree, di una particolare sensibilità, di doti percettive fuori dal comune (da Immagini della Follia di Marco Alessandrini edizioni Magi).
Lo sciocco ha con sé un’oca d’oro della cui preziosità sembra non rendersi conto; è un oro che ha suscitato l’avidità delle fanciulle, mentre per contrasto, in un castello c’è una principessa che probabilmente possiede tutto l’oro inimmaginabile ma non ha il sorriso. Forse è questa la simbologia dell’oro nella fiaba: è un oro che porta luce, la luce del sorriso, che illuminerà la vita triste di una principessa. Questo oro le verrà portato da uno sciocco che non ne conosce il valore.
Il nostro sciocco, sempre inconsapevolmente (non siamo a conoscenza di una strategia vera e propria ma di un semplice agire) crea una catena di 7 persone che lo seguono senza nessun sforzo da parte sua; i sette si attraggono gli uni agli altri come calamite, mentre il giovane stolto prosegue incurante della loro presenza, e sarà proprio questa catena spontanea che susciterà le risa della principessa triste.
Illustrazione di Gustaf Tenggren 

La principessa che vive in un palazzo, fatto di lusso e di regole, fa da contrasto alla scena “sregolata” che vede affacciandosi alla finestra, si affaccia sul mondo, da un punto di vista psicologico possiamo dire che si "espone" e vede l’opposto di ciò che ha fino ad allora conosciuto. 
Nella mitologia greca Momo (scherzo, burla) era il dio del riso, della maldicenza e del sarcasmo; figlio del Sonno e della Notte e fratello della Follia. Come figlio della Notte e del Sonno, era portato ad un umorismo nero o come lo stesso Freud definisce nel suo Motto di spirito e la sua relazione con l'inconscio (1905) un umore "da forca"; ma assai più importante è che Momo, come figlio del Sonno è, per la psicanalisi, legato al mondo inconscio. Secondo Freud, infatti, il motto di spirito, così come il sogno, ha origine nell'inconscio. La risata e l'allegria che nasce dal sentire una barzelletta o vedere una scena umoristica sono una delle forme che l'inconscio ha per poter esprimere i conflitti presenti; come i nostri conflitti o pensieri censurati dal Super Io riescono a passare attraverso il sogno, nel momento in cui cioè la censura del Super Io è più tenue, così attraverso il travestimento del motto di spirito escono le nostre tensioni.

La nostra Principessa ha così abbattuto le barriere del palazzo/Super Io in cui era rinchiusa.

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