L'osso che canta giustizia!


Ma nulla rimane nascosto davanti a Dio, così anche questo misfatto doveva venire alla luce. Un giorno, dopo molti anni, un pastore, facendo passare il suo gregge sul ponte, vide giù, fra la sabbia, un ossicino bianco come la neve e pensò di farne un bel bocchino. Scese, lo raccolse, e intagliò un bocchino per il suo corno. Ma la prima volta che si mise a suonare, con sua gran meraviglia l'ossicino cominciò a cantare da solo:
"Ah pastorello,
nel mio osso hai soffiato,
è proprio mio fratello
colui che mi ha ammazzato!
E in questo ruscello dopo mi sotterrò,
il cinghiale al re portò e sua figlia si sposò."
(L’osso che canta, Grimm)

L’osso che canta o che parla è piuttosto frequente nelle fiabe e nei racconti popolari. E cosa ci dice questo osso? Racconta spesso un misfatto o peggio un delitto nei confronti del corpo di cui faceva parte. Le ossa sono testimoni di come una persona ha vissuto e di tutto quello che ha subito e come è morta, come ben sa la paleontologia.
Probabilmente i nostri antenati, che non avevano nozioni scientifiche, avranno avuto modo di notare, per esempio in occasione di una frattura, come all’interno di un osso vi fosse una parte morbida, molle, il midollo. Il contrasto che sempre dà l’ imput a ragionamenti e alla ricerca di spiegazioni, avrà portato a delle supposizioni e da qui al culto delle ossa, a ritenerle “magiche” con quell’interno molle che come un fiume percorre tutto il nostro corpo, ma per portare cosa? si saranno chiesti. Forse la vita che da sempre è stata legata all’acqua. Un potere che le ossa trasmettono non solo al corpo ma anche alla natura se pensiamo che le ossa venivano piantate nel terreno per favorire il raccolto.
Le ossa trasportano dentro delle informazioni legate alla vita e all’esperienza di essa, come è possibile che quindi non ricordino, anzi è “naturale” che mantengono vivi i ricordi di quanto accaduto al corpo. D’altronde sono l’ultimo segno che rimane di un essere vivente e se ben conservate rimangono per millenni. Le ossa, resistono al tempo e, apparentemente, anche alla morte, una sorta di ricordo che sfida l'eternità e che, per questo, ha fatto sì che avessero un posto in primo piano nel culto delle reliquie.

Immagine di Alla Tsank
Così nella fiaba dei Grimm l’osso del defunto racconta dei suoi ultimi istanti, di come è stato ucciso dal fratello; non è un caso che sia stato trovato da un pastore annunciato da quella frase “Ma nulla rimane nascosto davanti a Dio” ed il pastore è il simbolo che spesso il Cristianesimo ha adottato per esprimere l’amore e la voce di Dio. Figura estremamente umile, il pastore che ritrova la pecorella smarrita e che nella fiaba ritrova ciò che farà giustizia della morte poiché l’osso, ultimo testimone del delitto, trasformato in un fischietto (in alcune versioni in uno zufolo) attraverso l’’aria soffiatavi dentro (spirito vitale) ridà la parola al defunto.
"Che strano corno," disse il pastore, "canta da solo!" e, pur non comprendendo il significato delle parole, lo portò al re. Allora l'ossicino ricominciò a cantare la sua arietta. Il re la capì benissimo e fece scavare sotto il ponte, dove comparve tutto lo scheletro dell'ucciso. Il fratello cattivo non poté‚ negare il delitto; fu gettato in acqua e annegato; le ossa della vittima, invece, ebbero riposo in una bella tomba al cimitero.
Un osso che canta lo ritroviamo nella fiaba della tradizione sicialiana e trascritta da Calvino, La Penna di HU (hu, secondo Cocchiara, è probabilmente un’espressione onomatopeica con la quale si suole indicare il pavone).
Qui la penna di Hu è la penna che può guarire un padre malato e ormai cieco, i tre figli andranno in cerca della penna di Hu che potrà restituire salute al padre.
Sarà il più piccolo a trovare la penna ma verrà ucciso dai due fratelli sotterrandone il cadavere.
Intanto, nel punto dove il più piccino era stato seppellito, dalla terra venne su una bella canna. Passò di là un pecoraio, vide la canna e disse: «Guarda che bella canna! Voglio tagliarla per farmene uno zufolo».

Così fece, e quando cominciò a soffiare nella canna, la canna cantava:
O pecoraio che in man mi tenete,
sonate piano che il cor m’affliggete.
M’hanno ammazzato per la penna di hu,
traditore il fratello mio fu.
Il pecoraio, sentendo questo canto, si disse: «Ora che ho questo zufolo, posso lasciar perdere le pecore! Vado a girare il mondo e mi guadagno da vivere suonando!».

Fino a quando giunse dal Re che mettendosi a soffiare nello zufolo sentì:
O padre mio che in man mi tenete,

sonate piano che il cor m’affliggete.
M’hanno ammazzato per la penna di hu,
traditore il fratello mio fu.
I due fratelli furono per ordine del Re loro padre, bruciati sulla piazza. Il pecoraio fu nominato capitano delle guardie. E il Re finì i suoi giorni chiuso nel palazzo, suonando tristemente nello zufolo. (nella versione originale della fiaba lo zufolo è ricavato da osso del defunto, Calvino lo ha sostituito con uno zufolo costruito dalle canne cresciute sul luogo dove è stato sepolto il corpo).

Interessante lo studio della paleontologa Valentina Mariotti in “Ossa per sempre: dalla preistoria allefiabe di magia” dove sostiene come ossa e fiabe costituiscono i documenti di una storia antica e non facile da riscostruire. Sebbene il suo studio riguardi i riti di scarnificazione delle ossa, riporta, tuttavia, una fiaba della tradizione bolognese dove ritroviamo anche il tema dell’osso che canta.
La fiaba in questione è la La fola dla Madrègna (la fiaba della Matrigna, trascritta da C.Coronedi ed edita nel 1883). La protagonista di questa fiaba uccide il figlio di primo letto del marito, ne scarnifica le ossa, e cucina le sue carni dandole come pranzo al marito. Ma da un ossicino del figlio che l’uomo si ritrova in bocca nasce un uccellino che canta: “La mia matrigna igna igna/ mi mandò a far la legna, legna legna/ ho raccolto, il paiolo ha bollito/ la mia sorellina bellina bellina/ mi ha portato in una panierina/ il mio papà golosone/ mi ha mangiato in un boccone (trad. Valentina Mariotti).
Tra le fiabe citate quest'ultima è l’unica dove il fratello/figlio ucciso torna in vita, infatti la matrigna viene uccisa e l’uccellino si trasforma di nuovo nel bambino. Ciò che accomuna tutte le fiabe è la memoria (rimasta nelle ossa) e che porterà alla giustizia dell’omicidio commesso.

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